A.M. Jaia – L. Ebanista
inv. int. P93.11 – inv. MIC 24.S563-2.185
Laterizio. Ricomposta da quattro frammenti, con lacune.
h 32,4; largh. 37,2; spess. max alla cornice: 5
inv. int. P93.10 – inv. MIC 24.S563-2.186
Laterizio. Ricomposta da nove frammenti, con lacune. Con integrazioni di restauro.
h 33,5; largh. 36,4; spess. max alla cornice: 4,8
Due esemplari di lastre del celebre tipo con Nike tauroctona volta a destra facenti parte di una serie caratterizzata da composizione specchiata in sequenza con candelabro centrale. La dea è raffigurata nell’atto di atterrare e sacrificare un toro con un coltello che brandisce nella mano destra. La lastra è definita superiormente da kyma ionico a grossi ovoli separati da lancette, inferiormente da palmette pendule con lobi concavi. L’iconografia è stata collegata alla propaganda augustea in quanto il toro maratonio catturato e sacrificato, secondo una versione della leggenda, sarebbe stato dedicato ad Apollo. Nell’esemplare n. 2 (inv. 24.S563-2.185) risulta ben visibile la dipintura originale bianca per il corpo nudo della Nike e dello sfondo reso in blu.
Bibliografia: Borbein 1968, pp. 43-97; Rohden, Winnefeld 1911, pp. 82-89, tav. 37; Strazzulla Rusconi 1999, pp. 577-580.
A.M. Jaia – L. Ebanista
inv. int. P93.11 – inv. MIC 24.S563-2.185
Laterizio. Ricomposta da quattro frammenti, con lacune.
h 32,4; largh. 37,2; spess. max alla cornice: 5
inv. int. P93.10 – inv. MIC 24.S563-2.186
Laterizio. Ricomposta da nove frammenti, con lacune. Con integrazioni di restauro.
h 33,5; largh. 36,4; spess. max alla cornice: 4,8
Due esemplari di lastre del celebre tipo con Nike tauroctona volta a destra facenti parte di una serie caratterizzata da composizione specchiata in sequenza con candelabro centrale. La dea è raffigurata nell’atto di atterrare e sacrificare un toro con un coltello che brandisce nella mano destra. La lastra è definita superiormente da kyma ionico a grossi ovoli separati da lancette, inferiormente da palmette pendule con lobi concavi. L’iconografia è stata collegata alla propaganda augustea in quanto il toro maratonio catturato e sacrificato, secondo una versione della leggenda, sarebbe stato dedicato ad Apollo. Nell’esemplare n. 2 (inv. 24.S563-2.185) risulta ben visibile la dipintura originale bianca per il corpo nudo della Nike e dello sfondo reso in blu.
Bibliografia: Borbein 1968, pp. 43-97; Rohden, Winnefeld 1911, pp. 82-89, tav. 37; Strazzulla Rusconi 1999, pp. 577-580.
A.M. Jaia – L. Ebanista
inv. int. P93.15 – inv. MIC 24.S563-2.187
Laterizio. Ricomposta da dodici frammenti, con lacune. Integrazione di restauro con calco.
h 42; largh. 56; spess. max 5,2
La lastra appartiene alla serie delle imprese di Ercole e fa riferimento alla seconda fatica dell’eroe che combatte contro la creatura mostruosa a Lerna. Della medesima serie è nota dal contesto di scavo forense pure la lotta contro il toro di Creta e quella contro il leone Nemeo, confermando la presenza di una rappresentazione continua del ciclo figurativo. La lastra è definita inferiormente da palmette pendule con lobi concavi, manca dell’estremità superiore. Il produttore di questa serie di lastre, come conferma l’uso delle medesime matrici, è lo stesso che realizzò la serie per il santuario portuale di Lavinium di Sol Indiges, del Capitolium di Cosa e quelle provenienti da Roma presso il Quadraro, oggi conservate in Vaticano presso il Museo Gregoriano Etrusco[1].
L’esemplare presenta abbondanti tracce di dipintura azzurra sullo sfondo superiore, rossa su quello inferiore e bianco sulle squame dell’idra. L’integrazione superiore della lastra relativa al frammento con il busto di Ercole è stata realizzata tramite il calco di un frammento lavinate della medesima serie.
[1] Vedi infra Jaia, Ebanista pp. 00.
Bibliografia: Borbein 1968, p. 159, nota 828, tav. 31; Nibby 1897 II, p. 666; Strazzulla Rusconi 1999, pp. 563, fig. 5; Rohden, Winnefeld 1911, pp. 93-96, tavv. 96-97.
A.M. Jaia – L. Ebanista
inv. int. P93.98 – inv. MIC 24.S563-2.188
Laterizio. Ricomposta da dodici frammenti, con lacune.
h 28,5; largh. 38,5; spess. max alla cornice 3,5
La lastra raffigura il gorgoneion sorretto da due figure affrontate vestite all’orientale col capo cinto da berretto di tipo frigio. In basso un calice da cui emerge un cespo d’acanto ed elementi speculari a volute che incorniciano esternamente le due figure laterali. La lastra è definita inferiormente da kyma ionico a grossi baccelli rilevati separati da lancette, superiormente da modanatura a gola rovescia. Trova confronto stringente in un esemplare dalla Gliptoteca di Monaco di ignota provenienza. Come per questo esemplare, quello lavinate conserva il colore rosso carminio sulla capigliatura della Gorgone e labili tracce dello sfondo azzurro.
Bibliografia: ROHDEN, WINNEFELD 1911, pp. 175-176, fig. 345.
A.M. Jaia – L. Ebanista
inv. int. P91.225 – inv. MIC 24.S563-2.189
Laterizio. Con ampie lacune.
h: 27; largh: 24,5; spess: 13,4
Frammento inferiore sinistro di antefissa con figura di Potnia therón di tipo classicistico. In questo tipo la dea alata, vestita di un chitone, è raffigurata in posizione frontale, con ai lati due fiere affrontate, rampanti e in atteggiamento rigido, mentre afferra per la zampa destra anteriore dell’animale. Trova confronto stringente nella decorazione del quinto periodo del Capitolium di Cosa.
Bibliografia: Fenelli 1995, pp. 547-549, fig. 16; Brown, Hill Richardson, Richardson 1960, pp. 269-271, fig. 46, tav. XLVI; Tortorella 1981, p. 63
David Nonnis
inv. int. P91.224 – inv. MIC 24.S563-2.183
Area forense, apertura cisterna ad ovest della cisterna CCC
Marmo. Angolo superiore destro.
h 16,3; largh. 14,1; spess. 3,8. Lett. 2,2-2,5.
------ ?
[--- t]aurobolì=
[um (?) --- a(nte) d(iem)] IV kal(endas) Ìulias
[---]+[---]
------?
Il frammento di lastra, proveniente dal medesimo vano in cui era collocata la dedica a Iuno/Iunones (vd. fig. 1), reca la menzione di un taurobolium, cerimonia cruenta caratteristica del culto metroaco (cfr., di recente, van Haeperen 2019, pp. 99-148, che ebbe luogo il 27 giugno di un anno imprecisato (possibile datazione consolare in lacuna). Il lacerto iscritto conferma l’ambientazione forense di tale prassi rituale, indiziata dalla scoperta, alla fine del XIX secolo (scavi nella ‘vigna nuova’), di un’ulteriore lastra iscritta che fa riferimento ad analoghi sacrifici effettuati, nel 212 d.C., da una coppia di sacerdotes di Mater Deum Magna Idea Laurentium Lavinatium (Eph. Epigr., IX 587 = EDR106784). Il particolare rilievo che sembra assumere il culto della dea di Pessinunte a Lavinium emerge forse anche dall’utilizzo, nella tarda età severiana, del Caesareum forense come luogo di riunione del locale collegio dei dendrophori (AE 1998, 282, testo IV = EDR093665), associazione che ricopre, come è noto, una funzione rilevante nel ciclo festivo per Cibele, che aveva luogo nel mese di marzo. Il frammento dall’ambiente BB si colloca orientativamente tra la fine del II e i decenni iniziali del III sec. d.C. (nello stesso orizzonte cronologico di Eph. Epigr., IX 587).
Bibliografia: inedito; cenno in Fenelli 1995, p. 549 nt. 40; Jaia – Nonnis, c.s.
David Nonnis
inv. int. P93.7 – inv. MIC 24.S563-2.184
Area forense, fronte dell’edificio B, US 1029.
Marmo. Mancante su tutti i lati, ricomposto da tre (o due??) frammenti contigui; retro lavorato a subbia.
h 30; largh. 46,5; spess. 5,5.
- - - - - -?
[- - -]NIC[- - -]
- - - - - -?
Il frammento è, con probabilità, pertinente ad un epistilio. Quanto si conserva del testo, tre lettere di notevole altezza profondamente incise con solco triangolare (mancanti della parte inferiore), fa pensare ai resti della formula onomastica di un imperatore o ad un elemento della sua titolatura. Si potrebbe, in particolare, proporre l’integrazione [- - - Germa]nic[- - -], da riferire all’onomastica di un imperatore della dinastia giulio-claudia, in primo luogo Claudio (Ti. Claudius Nero Augustus Germanicus), ma si potrebbe anche pensare a Caligola (C. Caesar Augustus Germanicus) o allo stesso Nerone (Nero Claudius Augustus Germanicus). Anche se forse meno probabile, vi si potrebbe, peraltro, riconoscere l’epiteto ex virtute Germanicus, che sappiamo attribuito a diversi imperatori a partire da Domiziano, tra fine del I e inizi del III sec. (Kienast – Eck – Heil 2017, pp. 83 [Domiziano], 97 [Nerva], 118 [Traiano], 133 [Marco Aurelio], 142 [Commodo], 157 [Caracalla]). Risulta altresì possibile la diversa integrazione [tribu]nic[ia potestate - - -] o simili, all’interno della titolatura di un imperatore, che resta per noi anonimo.
Il frammento, per il suo carattere monumentale, è plausibilmente da porre in relazione ad un importante intervento edilizio da parte di un imperatore nell’area forense. Allo stesso ambito evergetico è poi, forse, da ricondurre anche un perduto lacerto epigrafico (con lettere alte ca. 30 cm) scoperto nel 1866 nella ‘vigna del Principe’ (CIL, XIV 2084 = EDR106532: [- - -] max[im-] / [- - -]vit; cfr. anche Castagnoli 1972, p. 21 nt. 12). L’estrema lacunosità dei due frammenti non consente circostanziate integrazioni dei rispettivi testi, in linea teorica anche attribuibili al medesimo monumento (come ipotizzato da Fenelli 1995, p. 549 nt. 38). Il frammento dallo scavo del 1993 si colloca preferibilmente nel I sec. d.C., non potendosi però escludere un orizzonte cronologico più tardo nel secolo successivo.
Bibliografia: inedito; cenno in Fenelli 1995, p. 549 nt. 38; Jaia – Nonnis, c.s.
David Nonnis
inv. int. P91.224 – inv. MIC 24.S563-2.183
Area forense, apertura cisterna ad ovest della cisterna CCC
Marmo. Angolo superiore destro.
h 16,3; largh. 14,1; spess. 3,8. Lett. 2,2-2,5.
[P]ro salute
[i]mperato=
[rum] L(uci) Septi=
[mi Severi] et
[M(arci) Aureli An]=
[tonini Augg. (i.e. Augustorum)?]
- - - - - -
La lastra reca una dedica posta per la salus dell’imperatore Settimio Severo, della cui onomastica si conservano soltanto la sigla prenominale e parte del gentilizio. La presenza della congiunzione et a r. 4 indica che a Settimio Severo doveva essere associato un correggente, verosimilmente il figlio Caracalla (M. Aurelius Antoninus; per un ulteriore monumento posto in suo onore dai Laurentes Lavinates nel 213 d.C, a Lavinium o nell’Urbe,. cfr. CIL, VI 1066 cfr. pp. 3071, 4321 = XIV 2073 = EDR105661; più incerta l’attribuzione di Eph. Epigr., IX 589 = EDR106678, dagli scassi per la ‘vigna nuova’), asceso al soglio imperiale forse già nell’autunno del 197 d.C. (dies imperii, 28 gennaio 198 d.C.: cfr. Kienast – Eck – Heil 2017, p. 156). Le integrazioni che si propongono, che tengono conto della possibile impaginazione del testo, sono puramente orientative (per un possibile confronto vd., ad es., CIL, XI 1322 = ILS 2371 = EDR114039, da Luna: …pro salute Ìmpp. / L(uci) Septimi Severi / et M(arci) Âur(eli) Antonin̂i / Âugg. … 200 d.C.). Se coglie nel segno la ricostruzione del testo, il documento dovrebbe collocarsi in una forcella cronologica compresa tra il 198 e il 211 d.C.
Bibliografia: inedito; Jaia – Nonnis, c.s.
David Nonnis
inv. int. P93.4 – inv. MIC 24.S563-2.182
Area forense, utilizzata come soglia dell’ambiente BB.
Marmo. Porzione sinistra della lastra, ricomposta da due frammenti contigui.
h 28; largh. 22; spess. 2,1. Lett. 1,5-3.
Terentia Prim[---]
êt Aur(elia) Terent`i´a +[---]
Iun(oni vel -onibus) votum sol[verunt].
R. 2: in corrispondenza del margine di frattura a destra, resti di una lettera di incerta attribuzione (tratto curvilineo, forse pertinente a <O> o a <Q>).
La lastra rientra nella serie delle cd. dediche di itus et reditus, come mostrano le due paia di impronte (vestigia) affiancate, incise tra la prima e la seconda riga del testo: la coppia di sinistra, rivolta verso l’alto (o meglio verso l’ingresso dell’ambiente, dal punto di vista del fedele in visita), è costituita da piedi calzati, mentre la seconda, orientata in senso opposto (e della quale si conserva soltanto parte del piede destro), presenta piedi nudi (per queste peculiari dediche di vestigia, in primo luogo piuttosto diffuse in ambito isiaco, cfr., con bibl. prec., Dunbabin 1990 e, più di recente, Gasparini 2021, che sottolinea la polivalenza semantica di questi oggetti, anche in rapporto alla comunicazione tra divinità e fedeli). Come in altri contesti santuariali (ad es. l’Isaeum di Italica, in Baetica, con lastre affini collocate davanti al pronao del tempio: cfr. Gasparini 2021, pp. 289-296) la lastra risulta, non casualmente, collocata ai margini dello spazio propriamente sacro, nello specifico uno dei vani che si affacciava sul lato lungo SO del foro (adiacente al Caesareum). Ad offrire le due coppie di impronte sono due donne di condizione libera, Terentia Prim[---] e Aur(elia) Terentia (?) (tra loro forse imparentate) in scioglimento di un voto. La divinità destinataria della dedica, il cui nome è abbreviato alle tre lettere iniziali, sembra essere una Iuno (non altrimenti definita per il tramite di epiteti), ma non possiamo escludere che l’offerta fosse indirizzata alle Iunones, divinità titolari di un’ara dedicata nella tarda età tiberiana, come sembra nello stesso areale forense (CIL, XIV 4176 = EDR106746). Va peraltro rilevato la verosimile provenienza dal foro della città di un’ulteriore dedica di due coppie di vestigia disposte in direzioni opposte, in questo caso destinate a Isis Regina (Eph. Epigr., IX 586 = ILS 4355 = EDR106102), per la quale è stata proposta un’originaria contestualizzazione in un altro vano che si affacciava sul medesimo lato della piazza (Fenelli 2019). Un possibile indizio di una qualche connessione cultuale tra Iside e Giunone, proprio in rapporto alla prassi di offrire coppie di impronte alla divinità sembra sotteso da una delle dediche del già ricordato Iseo di Italica (Hisp. Epigr., V, 1995, 717, cfr. Gasparini 2021, pp. 344-345, Cat. 39), secondo la quale l’offerta a Iside da parte di una donna sarebbe avvenuta per ordine proprio di Giunone (imperio Iunonis). Il monumento in esame si data orientativamente (per paleografia e aspetti onomastici) tra tardo II e decenni iniziali del III sec. d.C.
Bibliografia: Fenelli 1995, p. 549 nt. 39 (con fotografia a p. 548 fig. 17) = AE 1995, 250; Fenelli 2019, p. 132; EDR106745.
Paolo Liverani
inv. int. P87.5 – inv. MIC 24.S563-2.190
Marmo bianco
Alt. conservata cm. 26
La testa ha una frattura che corre al di sotto del naso, si conserva il frammento inferiore del volto che è stato ricomposto e comprende la bocca, il mento e parte della gola, ma sono perduti la nuca e i lati del collo. Manca anche buona parte del naso, ma per il resto la superficie del marmo è ben conservata. La qualità della scultura è buona e la realizzazione è abbastanza curata anche nella parte posteriore.
Il ritratto è facilmente inquadrabile nel tipo Prima Porta, che prende il nome dalla statua meglio conservata e di migliore qualità, quella rinvenuta nella villa di Livia a Prima Porta, sulla via Flaminia, conservata ai Musei Vaticani. Si tratta della versione più diffusa del ritratto di questo imperatore. L’elemento distintivo che ne permette un immediato riconoscimento si trova nella frangia, con il caratteristico motivo a tenaglia sopra la metà destra del volto. I tratti del viso sono più tranquilli e simmetrici rispetto ai precedenti tipi di ritratto: qui la tensione “romantica” di tradizione ellenistica si stempera in uno stile classicista, con una scelta stilistica consapevole contemporanea all'adozione del titolo di Augusto nel 27 a.C. e intonata alla dignità imperiale raggiunta. Il tipo fu utilizzato a lungo anche in ritratti postumi.
Dietrich Boschung nota la presenza delle ciocche della seconda fila della frangia e la resa allungata della parte inferiore del viso, dettagli che richiamano alcuni ritratti di Caligola e suggeriscono una datazione sotto questo imperatore; Wolfgang Wohlmayr pensa a una datazione tra la tarda età augustea e la prima età tiberiana, oppure all’età di Caligola per il trattamento “porcellanato” della superficie. Possiamo in ogni caso considerare postumo il ritratto e collocarlo tra Tiberio e Caligola.
Bibliografia: FENELLI, GUAITOLI 1990, p. 189, fig. 9; ROSE 1997, p. 92, n. 17.1; D. BOSCHUNG, Die Bildnisse des Augustus, Das römische Herrscherbild 2, Berlin 1993, p. 75, 158, cat. n. 117, tav. 157,1; BOSCHUNG 2002, p. 54 n. 10.1, tav. 36.1; WOHLMAYR 2004, p. 88.
Francesca Licordari
Inv. MiC 24.S563-2.194 (Cassetta 5 PST 002)
Laterizio. Bollo integro.
52 x 30 x 3; diam. bollo 10
Dalla necropoli di Santa Palomba, Pomezia (scavi 2022).
Op(us) dol(iare) ex pr(aediis) dom(inicis) Aug(usti) n(ostri) fi/glinas Genianas
Cartiglio circolare con orbicolo; testo sviluppato su due righe.
Protome galeata verso destra, asta a destra; nell’orbicolo una stella.
Le figlinae Genianae, da collocarsi forse nella valle del Tevere sul lato verso la Tuscia, sono attive dal 123 d.C. alla fine dell’età severiana.
La tegola proviene dal letto funebre della tomba 3 insieme all’analogo esemplare inv. 24.S563-2.195 e ad altre due senza bollo.
Fine II secolo-inizio III secolo d.C.
Bibliografia: FENELLI, GUAITOLI 1990, p. 189, fig. 9; ROSE 1997, p. 92, n. 17.1; D. BOSCHUNG, Die Bildnisse des Augustus, Das römische Herrscherbild 2, Berlin 1993, p. 75, 158, cat. n. 117, tav. 157,1; BOSCHUNG 2002, p. 54 n. 10.1, tav. 36.1; WOHLMAYR 2004, p. 88.
Francesca Licordari
Inv. MiC 24.S563-2.195 (Cassetta 5 PST 003)
Laterizio. Bollo rotto in due pezzi con perdita di una scheggia lungo la linea di frattura.
40 x 48 x 3; diam. bollo 10
Dalla necropoli di Santa Palomba, Pomezia (scavi 2022).
Op(us) dol(iare) ex pr(aediis) dom(inicis) Aug(usti) n(ostri) fi/glinas Genianas
Cartiglio circolare con orbicolo; testo sviluppato su due righe.
Protome galeata verso destra
La tegola proviene dal letto funebre della tomba 3 insieme all’analogo esemplare inv. 24.S563-2.194 e ad altre due senza bollo.
Fine II secolo-inizio III secolo d.C.
Bibliografia: CIL XV 237a
Francesca Licordari
Inv. MiC 24.S563-2.196 (Cassetta 5 PST 005)
Laterizio. Bollo integro in parte consunto.
36 x 24 x 3 cm; diam. bollo 5
Dalla necropoli di Santa Palomba, Pomezia (scavi 2022).
[O](fficina) M. R. Fo(rtunati)
Bollo circolare con testo retrogrado.
In alcuni confronti una croce a divisione del testo, in questo reperto mal conservata. Si tratta di una officina presumibilmente urbana e di età costantiniana, i bolli sono attestati sulle tegole di Santa Maria Maggiore, Santa Croce in Gerusalemme, Santi Silvestro e Martino ai Monti.
La tegola proviene dal lato ovest della tomba 14.
IV secolo d.C.
Bibliografia: CIL XV, 1654
Francesca Licordari
Inv. MiC 24.S563-2.197 (Cassetta 5 PST 006)
Laterizio. Bollo integro in gran parte consunto.
45 x 41 x 3; diam. bollo 10
Dalla necropoli di Santa Palomba, Pomezia (scavi 2022).
[op]u[s doliare ex figlini]s Ocean=
[is minor]ibus [praedi(i)s d(omini)] n(ostri) A[ug(usti)]
Cartiglio circolare con orbicolo; testo sviluppato su due righe.
Protome galeata volta a sinistra.
Le Figlinae Oceanae Minores, di proprietà imperiale, nascono in età traianea, derivazione con le Maiores dalle Figlinae Oceanae di età flavia, e proseguono fino in età severiana.
La tegola proviene dal lato est della cassa fittile della tomba 16.
Inizio III secolo d.C.
Bibliografia: CIL XV, 381
Leonardo Bochicchio
Luogo di conservazione: Depositi del Museo Civico Archeologico di Lavinium
Luogo di ritrovamento: Dall’aerea della Villa Romana di Via Siviglia di Pomezia
Materiale: marmo bianco a grana grossa (verosimilmente marmo lunense)
Misure: cm 45 di altezza, 83 di larghezza e 55 di profondità (cassa); 34 cm di larghezza e 84 di lunghezza, con uno spessore del marmo di 6 cm e alzata di 14 cm in altezza (coperchio).
Stato di conservazione: Il manufatto è stato ritrovato fratturato in tre pezzi per la cassa e due per il coperchio; i frammenti sono stati ripuliti (eliminando delle incrostazioni di malta che interessavano il lato sinistro e il retro della cassa e i depositi superficiali di sporco, polvere, terra e apparati radicali che interessavano tutta la superficie) e ricomposti in restauro, con integrazioni nelle lacune più evidenti lungo le superfici di contatto dei frammenti.
La cassa è stata ricomposta pressoché integralmente; il coperchio manca invece dell’estremità sinistra dell’alzata, in corrispondenza della maschera acroteriale e di parte della prima figura recumbente, e di una porzione minore in corrispondenza dello spigolo in alto a sinistra.
La superficie marmorea è in generale alterata e corrosa; sono presenti diffusamente abrasioni, scheggiature e piccoli distacchi superficiali (oltre alle lacune integrate dal restauro). Il retro e i lati corti della cassa sono solo sbozzati (con l’eccezione che sul lato sinistro è scolpita a rilievo molto basso, nello spigolo superiore a destra, la punta ricurva del pedum del genio stagionale a sinistra della fronte). Analogamente anche il coperchio è rifinito solo sul fronte dell’alzata, mentre le altre superfici sono solo sbozzate. Sui lati della cassa, al centro lungo il margine in alto, sono presenti degli incavi rettangolari, verosimilmente destinati alle grappe di chiusura del coperchio che conserva, infatti, delle scanalature corrispondenti al centro dei lati corti. Sul lato sinistro della cassa un foro quadrato, ora risarcito, e due fori analoghi nella parte bassa del lato opposto sono probabilmente da riconnettere ad un riutilizzo del sarcofago. Una scanalatura che ospita quattro fori, due dei quali con tracce di piombo, si trova sul margine destro sulla parete posteriore della cassa. Una scanalatura analoga, di cui si conserva solo una estremità, si ritrova in frattura sul margine sinistro dell’alzata del coperchio.
Bibliografia: inedito. Per confronti: AMBROGI 1986, AVILIA, PANNELLA 2011; KRANZ 1984; TAGLIETTI 2016.
Leonardo Bochicchio
Luogo di conservazione: Depositi del Museo Civico Archeologico di Lavinium
Luogo di ritrovamento: Dall’aerea della Villa Romana di Via Siviglia di Pomezia
Materiale: marmo bianco a grana grossa (verosimilmente marmo lunense)
Misure: cm 45 di altezza, 83 di larghezza e 55 di profondità (cassa); 34 cm di larghezza e 84 di lunghezza, con uno spessore del marmo di 6 cm e alzata di 14 cm in altezza (coperchio).
Stato di conservazione: Il manufatto è stato ritrovato fratturato in tre pezzi per la cassa e due per il coperchio; i frammenti sono stati ripuliti (eliminando delle incrostazioni di malta che interessavano il lato sinistro e il retro della cassa e i depositi superficiali di sporco, polvere, terra e apparati radicali che interessavano tutta la superficie) e ricomposti in restauro, con integrazioni nelle lacune più evidenti lungo le superfici di contatto dei frammenti.
La cassa è stata ricomposta pressoché integralmente; il coperchio manca invece dell’estremità sinistra dell’alzata, in corrispondenza della maschera acroteriale e di parte della prima figura recumbente, e di una porzione minore in corrispondenza dello spigolo in alto a sinistra.
La superficie marmorea è in generale alterata e corrosa; sono presenti diffusamente abrasioni, scheggiature e piccoli distacchi superficiali (oltre alle lacune integrate dal restauro). Il retro e i lati corti della cassa sono solo sbozzati (con l’eccezione che sul lato sinistro è scolpita a rilievo molto basso, nello spigolo superiore a destra, la punta ricurva del pedum del genio stagionale a sinistra della fronte). Analogamente anche il coperchio è rifinito solo sul fronte dell’alzata, mentre le altre superfici sono solo sbozzate. Sui lati della cassa, al centro lungo il margine in alto, sono presenti degli incavi rettangolari, verosimilmente destinati alle grappe di chiusura del coperchio che conserva, infatti, delle scanalature corrispondenti al centro dei lati corti. Sul lato sinistro della cassa un foro quadrato, ora risarcito, e due fori analoghi nella parte bassa del lato opposto sono probabilmente da riconnettere ad un riutilizzo del sarcofago. Una scanalatura che ospita quattro fori, due dei quali con tracce di piombo, si trova sul margine destro sulla parete posteriore della cassa. Una scanalatura analoga, di cui si conserva solo una estremità, si ritrova in frattura sul margine sinistro dell’alzata del coperchio.
Bibliografia: inedito. Per confronti: AMBROGI 1986, AVILIA, PANNELLA 2011; KRANZ 1984; TAGLIETTI 2016.